La partita del Reddito di Cittadinanza sarà molto importante per l’Italia. Essa potrà risolversi, come affermano i sui promotori, in uno strumento di riequilibrio sociale e di sviluppo oppure, come affermano i detrattori, in un incentivo ai “fannulloni”. O peggio un incentivo a incassare il RdC e lavorare in nero.

Dal mio punto di vista, il RdC potrebbe essere un utile strumento per preparare una crescita professionale del beneficiario, anche in forma imprenditoriale.

Il fatto che un cittadino povero debba essere aiutato dallo Stato non risale ad oggi, ma in Italia alla fondazione di un moderno Welfare a partire dagli anni ’70. Anche il Reddito di Inclusione (REI) del governo Gentiloni ha contribuito a questo scopo.

Il REI tuttavia era molto basso (530 Euro per le famiglie più numerose) e toccava “solo” 300 mila persone. Era una misura di contrasto alla povertà estrema, ma non di soluzione al problema. Una sorta di Poor Law, come quelle inglesi del ‘500.

La soluzione al problema, e credo che su questo siano d’accordo anche quelli che evocano i “fannulloni”, è invece che una persona sia messa nelle condizioni di sviluppare un progetto lavorativo, non solo di salvarsi dai morsi della fame. In fondo siamo di una Repubblica “fondata sul lavoro” (art. 1 della Costituzione).

Il RdC, più sostanzioso del REI e non reiterabile oltre un certo periodo, potrebbe diventare anche la base per l’avvio di progetti di impresa, anche piccoli, nel commercio, nell’artigianato, nei servizi.

Chi vuole avviare un’impresa deve avere un minimo di tranquillità economica e di tempo, per preparare il suo progetto.

E’ in fondo, su un livello molto più alto, quello che fa la Germania dal 1998 con il tanto celebrato programma EXIST, che serve a coprire le “personal living expenses” di chi vuole avviare una impresa (ma solo se tecnologica), con contributi mensili che vanno dal 1.000 per gli studenti fino ai 3.000 Euro per i laureati e i ricercatori, oltre a 150 Euro mensili per ogni figlio, e al pagamento di un coach e di spese minime per l’avvio. Il tutto per un massimo di un anno.

L’Italia del Dopoguerra ha visto diverse leggi che hanno dato impulso alla microimprenditorialità. Dalla legge sulla Piccola proprietà contadina del 1961 alla Legge De Vito del 1986 sulla imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno, dalla legge sulla imprenditoria femminile del 1992 alla legge (sempre del 1992) sul reimpiego del 3% degli utili cooperativi nel capitale di nuove cooperative, fino al Decreto sulle start up innovative del 2012. Oltre a tante leggi regionali, più o meno efficaci.

Se l’Italia è oggi l’ottava potenza economica mondiale lo deve anche al suo dinamico tessuto di piccole imprese, e quindi indirettamente anche alle leggi che sono state varate nel Dopoguerra.

Il Reddito di Cittadinanza potrebbe contribuire con un ulteriore tassello. Dico “potrebbe” perché ovviamente dipenderà da come le cose saranno fatte, più o meno bene.